giovedì 9 dicembre 2010

Rugby: Oxford vs Cambridge, ovvero il Varsity Match


di Paolo Wilhelm


Oxford è la più antica università dell’intero mondo anglosassone, ha la maglia blu scura (navy, dicono quelli trendy) e sul petto una corona. L’altra – Cambridge – per simbolo ha invece un leone, mentre la maglia è a strisce orizzontali bianche e celesti (più simile a quella del Racing Metro di Parigi che non a quella della nazionale argentina), anche se tra il 1872 e il 1876 la divisa era rosa  Oxford e Cambridge, Cambridge e Oxford. Il massimo – o quasi – degli atenei mondiali, probabilmente i più conosciuti in assoluto ad ogni latitudine. Eppure tra le due università c’è grande antagonismo. Cambridge, ad esempio, è vero che è di poco meno antica di Oxford, ma sarebbe stata fondata da un manipolo di studenti “fuggiti” proprio da quest’ultima.
Una rivalità che rimane sul piano didattico (quanti ministri hanno “regalato” all’Inghilterra l’una o l’altra, i luminari, gli intellettuali, eccetera eccetera), ma che si è ovviamente spostata anche su quello sportivo. Tutti infatti conoscono la “boat race”, la gara di canottaggio sul Tamigi che si disputa l’ultimo sabato di ogni marzo che dio manda sulla Terra. Il secondo giovedì di dicembre si svolge invece il varsity match, la partita di rugby tra i due atenei (“varsity” è il nomignolo popolare per la parola “università”), una tradizione iniziata nel 1872 e giunta ormai alla sua edizione numero 129. 


La prima gara venne giocata all’Oxford Park, la seconda sul campo del Cambridge, il il Parker's Piece. In entrambe le occasioni il fattore-campo venne rispettato e a vincere furono le squadre che giocavano in casa. Poi si cercarono luoghi più neutri, trovando il campo principe nel Kennington Oval di Londra, il tempio del cricket britannico. Poi, negli anni ’20 l’approdo a Twickenham, dove ancora oggi si gioca quella sfida.

Tante, tantissime, le storie che circondano questa sfida. Intanto i giocatori: devono essere studenti veri, regolarmente iscritti nelle rispettive università. Niente trucchi o finte iscrizioni quindi, nemmeno oggi che intorno a questa gara girano parecchi interessi tra sponsor e diritti tv. I nomi più celebri (tra loro anche Nick Mallett, attuale ct azzurro che ha studiato a Oxford) che sono stati protagonisti di queste sfide erano quindi studenti dell’uno o dell’altro ateneo, altrimenti ciccia. Poi la scelta dei convocati: a farla è il capitano, non l’allenatore, e tra i criteri figura la condotta e, anche se non è scritto da nessuna parte, il fattore simpatia/antipatia ha il suo peso. Comunque, oltre ad avere ottimi voti e un comportamento irreprensibile, è necessario giocare in maniera continuativa nella prima squadra dell’università. 


Prendere parte a questa gara, va da sé, è un grande onore e chi lo fa – non importa per quale squadra – diventa un “blue”, e lo è per sempre.Il ritiro pre-partita dura tre settimane ed è un ritiro vero, quasi una clausura. La foto ufficiale viene fatta con il bavero della giacca della divisa tenuto ben alto. A Londra poi si va in treno, allo stadio in autobus. Dopo si beve un sacco di birra, ma questa non è una notizia.


E la particolare prerogativa delle due università, tra le più esclusive dell’intero pianeta Terra, fa sì che l’evento abbia una sua connotazione in qualche modo sociale e vagamente politica. A Oxford e Cambridge ci sono soprattutto “figli di”, i giovani rampolli dell’establishment e la cui collocazione politica può generalmente essere assegnata con un buon grado di sicurezza ai conservatori. Qualcuno, oltre mezzo secolo fa, arrivò a dire che “una bomba durante il varsity match metterebbe la parola fine al fascismo in Inghilterra per diverse generazioni”. Un po’ truculento e forzato, ma l’idea rende abbastanza. Certo non si può nemmeno pretendere che l’ambiente dei due atenei sia in qualche modo assimilabile a quello molto più proletario del rugby gallese. Ma questa è un’altra storia. 


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