domenica 5 dicembre 2010

Ciclismo: il futuro della maglia gialla. Il mio ricordo del "Pirata"

di Alberto Dolfin


Circa un mese fa è capitata sotto i miei occhi una notizia: il furto della maglia gialla (una delle sei indossate) conquistata da Marco Pantani al Tour de France 1998. Molti leggendo il titolo avranno girato pagina, altri avranno scosso la testa, io mi sono fermato a riflettere.

Innanzitutto ho pensato a lui: Marco Pantani, uno dei miei idoli sportivi di tutti i tempi. Sono cresciuto nel suo mito ed è grazie a lui se, tutt’ora, continuo ad amare il ciclismo. Se hai avuto la fortuna di vedere, dal vivo o in tv, il Pirata sui pedali, non puoi dire di non esserti innamorato di questo splendido sport. I suoi scatti, la sua sfrontatezza, il modo in cui da solo riusciva a sfidare e poi domare la montagna. Quando si toglieva prima il cappellino, poi in seguito la bandana, financo l'orecchino al naso, in segno di sfida verso tutti, ma forse ancor più contro sé stesso. In quel momento tutti gli appassionati rimanevano col fiato sospeso: era il segnale che il Pirata avrebbe attaccato da un momento all’altro. E quello scatto avrebbe avuto un impeto, una forza da scatenare un’esultanza pari a quella che si vede in uno stadio calcistico per un gol.

Un episodio in particolare, vissuto in prima persona, può forse spiegare quanto fosse incredibile Marco Pantani. Ricordo di essere andato alla partenza della Racconigi – Oropa, tappa del Giro d’Italia 1999. Nessuno aveva in mente che cosa sarebbe successo qualche ora dopo. La salita finale, fino al santuario: l’ideale per lo scalatore romagnolo. Eppure, come spesso è accaduto nella carriera di Pantani c’era un’ulteriore avversario da battere: la sfortuna. Certo questa volta non era una macchina in contromano né un gatto nero, ma un banale salto di catena. Peccato però che l’inconveniente meccanico accadde proprio sulle prime rampe della salita finale. Trenta, quaranta secondi persi per sistemare la catena per poi ripartire da fermo, in pendenza. Ma proprio in quel momento, ecco la magia: Pantani inizia a risalire il gruppo, risucchiando a uno a uno tutti i corridori che l’avevano sorpassato mentre era fermo e metro dopo metro si avvicina alla testa della corsa. Poi ecco il traguardo: Pantani lo taglia, ma non alza le braccia. E’ convinto che altri corridori siano giunti prima di lui. Invece si sbaglia: li ha sorpassati tutti, è lui l’incredibile vincitore della tappa:


oppure


Purtroppo però, quell’impresa venne cancellata pochi giorni dopo. Tutti sanno come andò a finire quel Giro d’Italia. Ricordo quando seppi la notizia da mia madre, che mi ha trasmesso la passione per questo sport. Ero appena uscito da scuola e quando mi disse che Pantani quella mattina era stato fermato alla partenza, mi venne quasi da piangere.

Poi ho anche riflettuto sul significato della maglia, quella maglia, simbolo del primato. A rappresentare un’impresa storica. Prima dell’accoppiata di Marco nel 1998, era dal 1965 che un italiano non vinceva il Tour de France. Si pensi poi che l’unico azzurro capace di vincere i due grandi giri nello stesso anno era stato il Campionissimo Fausto Coppi. Chapeau.
La storica impresa su Galibier, l’attacco a 45 km dal traguardo, la fuga solitaria verso la vittoria. Quel primato conquistato con un’impresa leggendaria e difeso fino ai Campi Elisi, a Parigi:







Pensare a quella maglia, conquistata col sudore mi ha fatto venire in mente come Marco aveva conquistato qualche mese prima quella rosa, simbolo del primato del Giro d’Italia. Sabato 6 giugno si correva la Mendrisio – Lugano, cronometro decisiva per l’assegnazione della corsa rosa. L’avversario principale per la vittoria finale della corsa rosa era Pavel Tonkov. Qualche giorno prima il russo aveva battagliato fino a tre chilometri dal traguardo, prima di capitolare nelle ultime rampe di Montecampione. Era stato un duello entusiasmante, che aveva permesso a Pantani di guadagnare qualche secondo prezioso su Tonkov, ma il margine tra i due alla vigilia della cronometro pareva troppo esiguo. E il russo, nelle gare contro il tempo, non scherzava affatto.





Mi ricordo che ero alla partenza ad incitare i corridori, quel manipolo di atleti che pian piano si assottigliava, fino ad arrivare agli ultimi tre. Prima Giuseppe Guerini, vincitore a Selva di Valgardena dopo un’eroica cavalcata che aveva spianato la strada verso la maglia rosa al suo compagno di avventura, Pantani. Poi Tonkov, che era partito come un treno per cercare di bissare il successo del 1996. E infine Pantani, nella sua regale veste rosa, che si difendeva sul terreno a lui meno congeniale.
Ricordo la corsa in macchina con il mio amico per strade traverse verso Lugano, chiedendo di tanto riferimenti cronometrici della sfida. Dalle prime voci sembrava che Marco non ce la facesse, 5-6 secondi di margine residuo dicevano. E’ andata. Poi invece capimmo che le cose stavano andando diversamente: Pantani stava addirittura guadagnando ulteriori secondi su Tonkov.
Finalmente giunti al traguardo, la grande notizia: Pantani aveva vinto il Giro d’Italia 1998. Riuscimmo a farci largo tra la folla ed arrivare dietro alla postazione dove si era rifugiato il Pirata. Ricordo ancora come se fosse ieri l’attimo in cui lui mi passò di fianco e riuscii a toccare, sfiorare quella maglia rosa. In quel momento ero il ragazzo più felice del mondo. Per molti quella era una semplice maglia di un colore sgargiante, per me no, era qualcosa di più. Qualcosa che nessuno potrà mai rubare. Rosa o gialla che sia.




Per saperne di più su:

GIORGIA BRONZINI 

GIRO DI LOMBARDIA: 

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