Al Vigorelli, quel pomeriggio neanche tanto autunnale, lui aveva 24 anni, essendo classe '31, ma di novembre. E lo vide piangere. Come molti, per carità. Lacrime amare, amarissime. La leggenda è, in realtà, ben nota. Però, quando te la racconta tuo padre, che con il Campionissimo si fece anche fotografare in quel luogo, ma non quel giorno, ovviamente, beh, allora un po' ti immedesimi nella scena. E ti intenerisci. Sì, Fausto Coppi pianse, per un Giro di Lombardia perso in volata, da un francese, Darrigade, lui che ne aveva vinti quattro di fila, dal 1946 al 1949, e poi ancora nel 1954. Ma che sul filo di lana aveva lasciato anche due Parigi-Roubaix, dopo il trionfo del 1950 in solitaria: nel 1952, a Van Stenbergeen, nel 1955, al francese Forestier. Più veloci. Punto.
La storia andò così, in quel 1956: sul Ghisallo, la salita che più dello Stelvio, dell'Izoard, del Pordoi, del Galibier e dell'Alpe d'Huez, è stata la preferita di Fausto Coppi, e che allora faceva veramente la differenza, Diego Ronchini, promettente ciclista imolese, scollinò da solo, davanti a Louison Bobet, leggenda francese e già primo nella classica delle foglie morte nel '51, e allo stesso Fausto. Coppi, poco dopo, raggiunse da solo Ronchini, che dunque era in fuga con con colui che chiamava “idolo”: avrebbe anche voluto aiutarlo a conquistare un successo di prestigio a 37 anni, ovvero collaborare alla fuga. Ma con un ginocchio malandato non poté fare granché. La leggenda narra che a quel punto si inserì la "Dama bianca", al secolo Giulia Occhini, scatenando forse involontariamente la rabbia di Fiorenzo Magni, che del campionissimo era comunque amico, irridendolo con frasi del tipo "prova a prenderlo, se ci riesci". Figurarsi. Va bene che uno era il Campionissimo, ma l’altro pur sempre il Leone delle Fiandre. Dunque, raccolse la sfida, pare imbestialito, guidò l'inseguimento portando mezzo gruppo verso la volatona finale del Vigorelli, con Coppi-Ronchini acciuffati giusto alle porte di Milano. Diego finì nono, distrutto, Coppi si fece infilzare amaramente da Darrigade. Bruciato. Mangiato. Come a... dama. E lacrime furono.
Partenza da Milano, Piazza Castello. Ma è una Sanremo, quella del 2007. Vincerà Freire
Il Mondiale d'Autunno torna in qualche modo a Milano, non per l'arrivo (si dice accadrà fra qualche anno), quanto meno per la partenza. Oggi. E allora ecco che un (non troppo) giovane milanese si lascia andare ai ricordi assieme al suo papà, che ne ha viste tante dalle parti del Ghisallo, prima, e anche dopo. Come quella volta, nel 1978, in cui Moser, pronto a ricevere il Superprestige a fine stagione, sembrava in crisi, a metà corsa, attaccato da tutti, sfiduciato, dopo aver appena lasciato la maglia iridata all’olandese Knetemann, per centimetri. Il trentino si riprese, tirò il collo agli avversari in salita, poi chiuse l'impresa con una volata imperiale, lunga e impossibile, davanti al lago di Como. Battuti Johansson e Hinault. Indimenticabile, per chi c'era.
L'ultima partenza all'ombra della Madonnina, più o meno, me la ricordo pure, 1984, vinse quel gran bretone di Hinault, per un podio tutto straniero. Ma è capitato ben 79 volte, in 104 edizioni, che il Giro di Lombardia cominciasse da Milano per poi arrivare a Como. E il Ghisallo? L'ho visitato per la prima volta nel 1991, a 15 anni, volevo assolutamente vedere la maglia gialla (una delle sette indossate), quella con la scritta Carrera in nero, che Claudio Chiappucci, allora mio idolo assoluto per aver riportato un italiano sul podio del Tour de France, nel 1990, dopo Gimondi '72, aveva donato come cimelio. Vista.
Il Ghisallo, intesa come salita, venne inserito nel Giro di Lombardia del 1919, diventando monumento come il Grammont nel Fiandre, la Redoute a Liegi, se vogliamo il Poggio (ma forse un po' meno) a Sanremo. Settecentociqunataquattro metri sul livello del mare. Il primo a passarci sopra, scollinando da solo, fu Costante Girardengo. Una investitura.
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