mercoledì 3 novembre 2010

Ciclismo, Bronzini come... Moser: "E adesso tocca alle mie compagne"

BUSTO ARSIZIO (Varese) - Tre ori e due bronzi Mondiali, un bronzo olimpico. Questo il bottino della Nazionale femminile di ciclismo su strada di Savoldi, per la prova in linea, negli ultimi 4 anni, tra Stoccarda, Pechino (Giochi), Varese (sempre nel 2008), Mendrisio e Melbourne. Le autrici delle imprese sono tante e diverse, da Tatiana Guderzo a Noemi Cantele, da Marta Bastianelli passando per l'ultima, fresca, iridata, ovvero Giorgia Bronzini (http://gianmariobonzi.blogspot.com/2010/11/ciclismo-video-intervista-giorgia.html) da Piacenza, 27 anni, capace di imporsi sul circuito di Geelong, in Australia, un mese fa (il 2 ottobre), con una volata destinata a restare negli annali del ciclismo mondiale. 



Giorgia, a mente fredda cosa le resta di quello sprint dall'altra parte del mondo?
"Innanzitutto, grande emozione quando le immagini ripercorrono la mia mente, perché è stata la vittoria più importante della mia carriera; penso che, per ogni sportivo che va a coronare il suo sogno, le immagini difficilmente andranno a sbiadirsi".
Quindi chiude gli occhi e le rivede ancora?
"Sicuramente, il primo pensiero che mi viene in mente ancora ora, dopo 30 giorni, è legato a quelle immagini, a quella vittoria, a quelle emozioni che ho sentito quando ho tagliato il traguardo".


 Più un punto d'arrivo o di partenza?
"Credo nessuno dei due. Direi un punto intermedio che ha ripagato tutti i sacrifici di questi anni e uno stimolo in più per continuare così e cercare di ottenere sempre di più, ovvero arrivare a traguardi ancora più importanti di questo".
Ci racconta chi è Giorgia Bronzini?
"Beh (ride, ndr) una ragazza di 27 anni a cui piace divertirsi, stare con gli amici, essere una persona solare che chiacchiera con qualsiasi tipo di persona".
Quali sono i suoi luoghi d'allenamento?
"Principalmente nel piacentino, ma ho avuto occasione di andare parecchie volte in Toscana perché ho una compagna di squadra che è di quelle parti e lì il clima favorisce di più chi esce in bicicletta. In inverno, invece, molto del mio tempo lo passo a Montichiari (Brescia), dove c'è l'unico velodromo coperto esistente in Italia: svolgendo entrambe le attività, su strada e pista, sono là gran parte dell'inverno". 
A proposito. Ha vinto l'oro Mondiale su pista (corsa a punti, 2009) e strada. Come Moser (inseguimento, Ostuni '76, strada, San Cristobal '77). Come ha fatto?
"Con la costanza e l'impegno che metto sempre in entrambe le specialità. Quando sono in bicicletta e devo svolgere il mio lavoro sono molto seria, sia che si tratti di bici da pista, sia che si tratti di bici da strada. Per quanto riguarda i Mondiali, mi hanno dato entrambi emozioni forti, ma diverse: in pista sei da solo, su un anello, per una corsa che in circa 30' conclude il proprio destino. La puoi vivere tutta d'un fiato, con molto istinto e poco ragionamento, sei tu il tecnico e la tua forza è la tua mente e il tuo istinto. Su strada è diverso, fai parte di un gruppo, la corsa è più lunga, sono circa 130km, con diverse difficoltà. La testa la devi usare in tanti momenti, devi ragionare e capire se è il momento giusto per fare certe azioni, oppure risparmiarsi perché quel momento non è ancora arrivato. Poi devi dare consigli alle compagne... Insomma, è un po’ diverso".
Un gruppo, il vostro, davvero tostissimo. Quando deve alle sue compagne?
"Sicuramente l'affetto e la riconoscenza che ho nei confronti di Guderzo, Cantele e tutte le altre è altissima. Ho già detto spesso che se potessi dividere la maglia iridata in nove pezzetti lo farei subito, perché è veramente frutto di una compattezza e unione di squadra che ci rende sempre diverse dalle altre nazionali. Io spero che anno dopo anno anche le mie compagne possano assaporare il gusto di indossare questa maglia".

Articolo pubblicato da Il Giorno (Milano), il 3 novembre 2010



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