giovedì 11 novembre 2010

Rugby: sabato Italia-Argentina, scopriamo i "Pumas"

di Paolo Wilhelm
Si fa presto a chiamarle amichevoli. Ma il fatto è che le amichevoli nel rugby semplicemente non esistono. Non ci si gioca nulla, al massimo “solo” qualche spostamento nella classifica del ranking mondiale, ma sono partite fatte e finite, dove si sputa l’anima dal primo all’ottantesimo minuto, attesissime e sentite da pubblico e giocatori. Nessuno vuole perdere o giocare male. In realtà nell’approccio alla gara non c’è alcuna differenza tra un test-match e una partita del mondiale. Proprio nessuna. Amichevole? L’unica cosa che c’è di amichevole è – al solito – il terzo tempo. 


I test-match si dividono in due tranche: autunnale ed estiva. Nella prima le nazionali dell’emisfero sud vengono in Europa, mentre a giugno si fa il viaggio inverso, con le squadre dell’emisfero boreale che prendono il volo per quello australe. Il prossimo giugno però non si farà nulla: a settembre infatti partono i mondiali in Nuova Zelanda e la “sessione” precedente viene saltata.
L’Italia in questo mese di novembre incontrerà l’Argentina (sabato 13, a Verona), l’Australia (il 20 a Firenze) e le Isole Fiji (sabato 27 novembre, stadio “Braglia” di Modena). Un programma ambizioso perché è la prima volta che la nostra nazionale affronta tre squadre che le sono davanti nel ranking mondiale. Iniziamo il nostro viaggio, con una delle nazionale più anarchiche del pianeta rugby: l’Argentina.

In spagnolo è la  garra, parola quasi intraducibile, ma che sta a indicare il furore e la grinta. Due termini che indicano bene il tipo di gioco degli argentini. Da sempre hanno il loro punto di forza nel pacchetto di mischia, ma dispongono anche di ottimi tre-quarti. A volte giocatori semplicemente fantastici. Tanto per dire, oggi il loro uomo migliore è Juan Martin Hernandez, mediano di apertura (numero 10 sulle spalle: nel rugby i numeri hanno ancora un senso e indicano il ruolo) di grande classe e talento. Classe e talento che scorrono nelle vene della sua famiglia: suo zio è Patricio “Pato” Hernandez, ex riserva di Maradona nella nazionale argentina di calcio con un passato anche con la maglia granata del Torino. Juan Martin però a Verona non ci sarà, perché infortunato. Non sarà sportivissimo dirlo, ma tutto sommato meglio per noi. 

E come dimenticare l’immenso Diego Dominguez? Anche lui numero 10. Argentino di nascita, ma italiano d’adozione: con la maglia azzurra trascinò forse la nostra migliore nazionale di sempre, quella che sfondò a forza di vittorie il muro che impediva l’ingresso nel Cinque Nazioni. Con la garra anche lui, ma capace di segnare con la nazionale 998 punti in carriera, terzo marcatore internazionale di sempre (oltre ai 2.996 segnati nel campionato italiano, anche qui terzo marcatore di sempre).
Due nomi per dire che grinta sì, ma anche un sacco di qualità. E non è un caso che agli ultimi mondiali – nel 2007 – l’Argentina è arrivata terza, dopo aver eliminato anche i padroni di casa della Francia. I Pumas, questo il loro soprannome (nomignolo nato da un errore: quasi mezzo secolo fa un giornalista sudafricano decise che l’animale impresso nel logo della federazione del paese sudamericano era un puma. In realtà si tratta di un giaguaro), soffrono però del fatto di non giocare in maniera continuativa in un grande torneo internazionale, tipo il Sei Nazioni europeo. Si tratta però di una situazione destinata a finire: manca l’ufficialità, ma dal 2012 l’Argentina dovrebbe fare il suo ingresso nel Tri-Nations, la più importante competizione dell’emisfero australe. Oggi riservato a Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica che per parecchi anni hanno bloccato le richieste che arrivavano da Buenos Aires, ma ormai il muro si è incrinato: giocheranno tutti gli anni anche con i Pumas, migliorandone giocoforza il livello. Cosa che all blacks, wallabies e springboks avrebbero volentieri continuato ad evitare. Perché gli argentini sono già forti così.
 
A caratterizzare la nazionale Argentina è anche la non semplice e (purtroppo?) irripetibile gestione interna. La federazione conta fino a un certo punto, perché la squadra è guidata da una sorta di comitato interno composto dai giocatori più esperti e rappresentativi. Hanno un importante potere decisionale su aspetti tecnici e organizzativi. Un equilibrio non facile e che alterna momenti di grande tensione ad altri più tranquilli con il presidente federale. Una struttura nei fatti che mette assieme meccanismi verticistici ad altri socialisteggianti, quando non anarcoidi. Cosa che non deve stupire più di tanto, visto che in gioventù a praticare questo sport fu anche un certo Ernesto Guevara, passato poi alla storia come il “Che”. La palla ovale fu per il futuro guerrigliero un amore scoppiato durante l’adolescenza, quando giocò con l’Estudiante di Cordoba. Era un tre-quarti soprannominato “Fuser”, contrazione dell’espressione “furibondo Serna”. Era un po’ il suo grido di battaglia sui campi da gioco e univa la sua attitudine grintosa (la garra, appunto) al cognome della madre: Serna. A fermarlo fu l’asma, ma ci mise u po’: il padre gli impose di abbandonare il gioco proprio per via di quella malattia, ma Ernesto continuò a giocare per ben due anni sotto falso nome in un’altra squadra. Come dire: hasta el rugby!   

http://gianmariobonzi.blogspot.com/2010/11/rugby-il-punto-sulla-celtic-league.html

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4 commenti:

  1. Grande sport il rugby..e grandi sono coloro che lo praticano!.
    E' sempre uno spettacolo assistere ad un'incontro che sia ad alto livello o giovanile.
    Uno dei pochi sport dove sono sopravvissuti alcuni valori come lealtà e rispetto per le regole e per gli avversari.
    L'Argentina è sempre stata una nazionale "tosta" e riconosciuta a livello mondiale.
    Forse non ha un gioco spettacolare come quello francese o anglosassone ma sfrutta i loro punti di forza come la mischia, le ruck o gli spostamenti tattici con i calci concetti di gioco su cui si basava anche la nostra nazionale, non a caso piena di oriundi.
    Ora con Mallett le cose stanno cambiando, grazie a nuovi innesti ed a un movimento finalmente in forte crescita anche l'Italia sta cambiando pelle, andando un po' sullo stile sudafricano per intenderci (non potrebbe essere altrimenti).
    Sono curioso di vedere questa "nuova" Italia anche se a mio parere ci manca sempre un grande mediano d'apertura come Diego...l'indimenticabile.

    andrea

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  2. Ciao Andrea
    beh, sullo sport non posso che essere d'accordo con te.
    L'Argentina: squadra tostissima, ma spesso anche bella. Grande cuore ma piedi e testa fine. Non sono i francesi, d'accordo, ma negli ultimi anni i galletti le hanno spesso prese dai pumas...
    Noi siamo un po' francesi, ma non abbiamo (purtroppo!) i loro centri, tra i più tecnici in assoluto. Noi "sudafricani"? Sì, gioco spartano e coinvolgimento della ali limitato. Ma dobbiamo imparare ad aprire di più - e più velocemente - il gioco. Ma credo che siamo sulla strada giusta.
    Infile il capitolo mediano di apertura: è vero, dopo Dominguez non abbiamo più avuto un grande numero 10. Il fatto è che ne "produciamo" pochi. Però ci sono un apio di giovani interessanti, Bocchino su tutti.
    Ciao

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  3. Ciao Paolo,
    hai perfettamente ragione come analisi e sul tipo di gioco che l'Italia dovrà cercare di applicare.
    In effetti con l'introduzione delle nuove regole sulle maul, si voleva favorire il gioco di apertura (giustamente) e questo un pochino ci ha penalizzato.
    La Francia è per me la squadra più tecnica che ci sia nel panorama internazionale ma vanta un movimento fantastico!
    Noi piano piano..nel nostro piccolo .. (ennesimo miracolo italiano) stiamo arrivando..come dicevi tu ci sono alcuni giovani estremamente interessanti che spero ci possano fare quel salto di qualità che ci manca..e mi piace Mallett che non ha paura a schierarli..senza però mandarli allo sbaraglio.

    Andrea

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  4. Oggi non posso vederla... mannaggia! Poi voglio un resoconto dettagliato!

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