Lo scorso fine settimana cadeva il capodanno celtico. La “rivoluzione” celtica invece ha investito l’Italia due mesi fa. Dopo un lungo iter durato qualche anno il nostro rugby è stato infatti ufficialmente invitato a far parte del consesso della Celtic League.
Scontro Treviso-Cardiff
Qualche passo indietro per i non appassionati: la suddetta Celtic League è un vero e proprio campionato per club riservato a formazioni di Irlanda, Scozia, Galles e – da settembre – Italia. Partite di andata e ritorno e poi play-off. Un torneo nato una decina di anni fa o giù di lì per elevare il profilo delle rispettive nazionali. I campionati di quelle nazioni non sono infatti paragonabili per spessore al Top 14 francese o alla Premiership inglese. Serviva quindi un torneo dove gli atleti potessero giocare ad alto livello in maniera continuativa, il metodo migliore per superare gap e differenze. E la Celtic League, come effetto collaterale, ha ovviamente rivoluzionato i campionati dei Paesi coinvolti.
Più o meno funziona così: i club che giocano in Celtic lavorano a stretto contatto con le federazioni (per l’Italia, la FIR), che spesso intervengono anche in termini economici. Queste ultime hanno infatti tutto l’interesse a far giocare assieme il più spesso possibile gli atleti che poi finiscono per indossare la maglia della nazionale, tanto meglio se in un torneo di alto livello. Il risultato è che le 4 squadre irlandesi, le 4 gallesi e le 2 – rispettivamente – di Scozia e Italia rappresentano l’ossatura delle rispettive nazionali. A rimanere un po’ fuori da questa logica sono i talenti maggiori (ma non sempre), che spesso vanno a finire nei più ricchi club inglesi e – soprattutto – francesi, dove si possono garantire ai giocatori contratti con trattamenti economici altrove impensabili. Tanto per fare un esempio, giocano in quei due campionati gli italiani Parisse, Castrogiovanni, Gower, Lo Cicero e i fratelli Bergamasco.
Ma dicevamo dei campionati nazionali. I tornei si sono ovviamente un po’ impoveriti, ma la logica è piramidale: in testa la nazionale, “rifornita” in gran parte dalle squadre di Celtic che rappresentano l’èlite del movimento. Sotto ci sono le squadre che partecipano al massimo torneo nazionale (in Italia il Campionato d’Eccellenza) e poi via via le altre serie. È un sistema abbastanza bloccato, che prevede però movimenti verticali, almeno in Italia. Benetton Treviso e Aironi saranno le nostre sicure protagoniste celtiche per qualche anno, ma tra un po’ FIR e il board che gestisce il torneo faranno le loro verifiche e tireranno le somme. Perché la competitività è una conditio sine qua non.
Una vera rivoluzione quindi, che pur con qualche limite ha razionalizzato l’intero movimento, con due solo squadre professionistiche e il resto retrocesso a un dilettantismo spinto o – nel caso dell’Eccellenza – a un semi-professionismo.
E che risultati sportivi sta dando finora questo stravolgimento? Le previsioni più ottimistiche parlavano di un 6-8 vittorie in una intera stagione per le formazioni italiane. Dopo due mesi di incontri il bilancio è decisamente positivo per Treviso e oltremodo negativo per gli Aironi. In sette turni la Benetton ha vinto quattro volte, superando squadre di assoluto livello europeo come il Leinster (Irlanda) o gli Scarlets (Galles). Anche in occasione dei tre ko la squadra veneta non ha quasi mai demeritato, partita in casa del Munster a parte. Ma per fare un paragone calcistico stiamo parlando di una sorta di Manchester United o Real Madrid della palla ovale. Insomma, fare una brutta figura a Limerick ci può stare. Per il resto grande cuore, grande testa, la capacità di non perdere mai la trebisonda nemmeno nei momenti più difficili. Una squadra che sa soffrire e con grandi margini di crescita. Capace di difendere con intelligenza e aggressività e far male quando avanza. In più un gioiellino fatto in casa: Tommaso Benvenuti, centro di 20 anni dal futuro radioso. Se solo due mesi fa la Benetton era una mezza curiosità, dopo 60 giorni è una squadra che fa paura a tutti.
L’altra faccia della medaglia è invece rappresentata dagli Aironi. Sette gare e sette sconfitte, di cui solo un paio di quelle che si possono definire “onorevoli”. Un gruppo di giocatori che faticano a diventare squadra, a trovare una strada o una parvenza di gioco. Bene la mischia, in crescita la touche, ma il resto è deficitario. Non pungono quando avanzano nonostante la mole di gioco prodotta non sia affatto malaccio e la difesa è tutt’altro che impenetrabile. Tanti errori di misura o posizionamento, una condizione mentale e di concentrazione precaria che oscilla tra lo strafare e una eccessiva fragilità. Con il cappello di una disciplina assolutamente deficitaria, con troppi cartellini gialli (nel rugby ogni cartellino di quel colore significa regalare la superiorità numerica agli avversari per dieci minuti, cosa non da poco in una disciplina basata sull’avanzamento e sulla conquista del terreno).
Certo agli Aironi non mancano gli alibi: una valanga di infortuni, tanto per iniziare. Eppoi il fatto di essere una squadra praticamente nuova di zecca. Tantissimi i nuovi arrivi, mentre a Treviso si sono apportati aggiustamenti a un gruppo che già esisteva, in un ambiente già più abituato alle sfide internazionali di un certo livello.
Diciamo che mentre la Benetton sta andando meglio di ogni più rosea previsione, gli Aironi sono l’esatto opposto: troppo brutti per essere veri. Vedremo i prossimi mesi. A sparigliare le carte anche i test-match delle nazionali: la Celtic League non si ferma e i valori in campo potrebbero saltare.
Paolo Wilhelm
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